Le preoccupazioni sul fenomeno dell’esternalizzazione non arrivano solo dal Consiglio comunale. A lanciare un monito è la municipale Cristina Zanini Barzaghi, finora la più scettica della compagine esecutiva sul fatto che questa pratica, per un ente pubblico, sia in ogni caso un affare a livello economico, sociale e di qualità del servizio.
intervista sul Corriere del Ticino 8 luglio 2015
«Dobbiamo discutere in modo equilibrato vantaggi e svantaggi e decidere che regole darci per evitare gli errori fatti dall’economia privata – esordisce la socialista – Negli anni ‘60 le aziende erano più responsabili e davano certezze anche a persone di basso profilo, mentre oggi il mercato del lavoro è più difficile, precario. Va bene che la Città deve lavorare in modo efficiente e non essere più una ‘mamma’ che accontenta tutti, però attenzione a non sbandare dalla parte opposta e diventare troppo aziendalisti».
Un passato da precaria
Il primo passo, per la nostra interlocutrice, è confermare gli standard dell’ente pubblico a livello di condizioni di lavoro.
«Questo deve succedere nel tempo però, non solo per i lavoratori toccati direttamente dal cambiamento che passano dal Comune a un ente esterno. Non basta dire che va bene perché ‘‘riassumiamo tutti’.’ Ricordo la transizione dalla STS alla SUPSI: chi proveniva dalla STS aveva mantenuto in larga parte le proprie condizioni contrattuali, mentre quelli arrivati dopo, come è successo a me, sono stati a lungo precari».
Sfuggono al controllo
I rischi più grossi, Zanini Barzaghi li vede nel trasferimento di compiti a ditte esterne, «anche perché questo di solito avviene nei settori dove sono impiegate le figure professionali più deboli e quindi potenzialmente soggette a trattamenti penalizzanti, come gli ausiliari o le donne delle pulizie». Esternalizzando diventa anche più difficile monitorare l’impiego di manodopera residente.
«Non si possono controllare le assunzioni e nei bandi di concorso è praticamente impossibile premiare chi impiega forza lavoro locale e chi dà salari corretti».
Libertà e trasparenza
Il problema del controllo non riguarda solo le condizioni di lavoro, ma in generale l’operato degli organismi creati ad hoc o delle aziende a cui si desidera affidare dei compiti. Spesso gli enti pubblici scelgono questa via per aggirare le procedure macchinose e la rigidità delle leggi (ad esempio quella sulle commesse pubbliche) ed essere più veloci ed efficaci.
«Questa libertà può essere anche positiva, perché permette di guadagnare tempo e portare avanti i progetti – spiega la municipale – però diminuisce la trasparenza nei confronti del Consiglio comunale e della popolazione». Questo può avvenire anche nelle aziende partecipate, con il Municipio che a volte si trincera dietro una segretezza motivata dalla forma giuridica della società e dalle esigenze dei partner privati. Basti pensare alle polemiche sul patto d’azionariato tra Città e Casinos Austria.
Quanto agli enti autonomi, Zanini Barzaghi vede un’altra questione chiave, quella della rappresentanza. «Se da un lato c’è il vantaggio di poter avere dei consigli d’amministrazioni più tecnici, dall’altro è necessario che le linee guida siano condivise con il Legislativo e formalizzate in un mandato di prestazione chiaro, perché in questi organismi non è necessariamente garantito l’equilibrio politico».
Aggirati anche i consiglieri
A proposito del Consiglio comunale, il trasferimento di alcune attività verso entità esterne potrebbe ridurre l’influenza del Legislativo su di esse e in generale il suo potere. Prendendo ad esempio l’organismo che gestirà il LAC, al Consiglio comunale toccherà l’approvazione del solo Consuntivo, mentre in Municipio passeranno Consuntivo e Preventivo. Questa, perlomeno, è la proposta dell’Esecutivo. Riuscirà a convincere il Legislativo?