4 anni fa ho partecipato alla commemorazione del 70. dalla Liberazione presso la Scuola Livia Bianchi a Porlezza. Ho riadattato e ridotto il discorso tenuto allora. Le note a pié pagina riportano della letteratura interessante sull’argomento.
La commemorazione della Liberazione è un’occasione per rinforzare i legami esistenti fra le nostre comunità. La frontiera ci divide certo a livello istituzionale, ma non cancella la nostra vicinanza culturale e la condivisione di esperienze storiche, seppur vissute da due prospettive differenti. La Liberazione di Milano da parte degli alleati del 25 aprile 1945 fece da preludio alla fine della 2. guerra mondiale. Seguirono giorni difficili con confusione e speranza su entrambi i lati del confine e da allora fortunatamente non abbiamo più conosciuto il fantasma della guerra. La vostra iniziativa di trasmettere alle nuove generazioni la memoria di quei terribili momenti attraverso una serie di incontri che si svolgono a cavallo del confine è lodevole.
- Lugano è più vicina a voi di quanto potrebbe sembrare. Con la recente aggregazione ora la nostra città è una vera città di frontiera: il confine di stato si snoda per ca. 25 km, costeggia la val Cavargna e Valsolda, attraversa il lago e prosegue verso sud fino alla Sighignola. Il valico stradale di Gandria, oggi molto trafficato, fu aperto solo nel 1935. Durante gli oscuri decenni del fascismo la frontiera è stata una barriera, ma anche occasione d’incontro fra le nostre comunità.1 E vorrei spiegarlo evocando alcuni avvenimenti e persone.
- Innanzitutto non posso che iniziare dalla donna che dà il nome a questa scuola: Livia Bianchi. Una partigiana femminista, protagonista della Resistenza, fucilata a Cima: una donna coraggiosa, morta per nobili ideali. Vorrei rendere omaggio a lei e a tutte e tutti partigiani che si sono sacrificati per la libertà. Vorrei anche rendere omaggio alle donne, che durante la guerra hanno preso il posto degli uomini nelle professioni più disparate. Solo dopo molti anni per le donne è diventato normale essere attive professionalmente e partecipare alla politica. Le storie di Livia e delle donne di ogni tempo vanno ricordate sia in Italia sia in Svizzera. In Ticino esiste un archivio a loro dedicato e recentemente sono state raccolte le biografie delle “donne del Luganese da non dimenticare”. E Livia Bianchi merita di essere adottata oltreconfine ed essere aggiunta a loro.
- Un’altra persona da ricordare è Alberto Vigevani, che giunse in Svizzera come profugo entrando dal valico di Arogno. Nel suo romanzo autobiografico “Compagni di settembre”, pubblicato a Lugano nel 1944, egli racconta: “Al culmine del bosco uscimmo in un breve altopiano. Aldilà si innalzava un fianco del monte Generoso e veniva la Svizzera. Non ci passò nemmeno per il capo che là la guerra non si sapeva cosa fosse e la gente dormiva nel proprio letto ogni notte dell’anno” 2.
Certo, da noi si stava meglio: ma la Svizzera era accerchiata e la guerra influenzava pesantemente le condizioni di vita. Durante il conflitto le frontiere erano chiuse e sorvegliate dall’esercito, ma non si moriva di fame. La Svizzera riuscì a preservare la propria libertà e democrazia e Lugano fece la sua parte assumendo un ruolo di primissimo piano come crocevia della Resistenza europea e punto di contatto con gli Alleati. Nella nostra città, si rifugiarono molti antifascisti. Le personalità locali permisero loro, nonostante i divieti federali, di diffondere le loro idee ravvivando così il dibattito politico e culturale. L’attività della nostra biblioteca cantonale si sviluppò instaurando relazioni con gli intellettuali italiani rifugiati. Il passaggio di cultura fa parte del nostro essere svizzero-italiani e anche oggi vogliamo dimostrarlo. Il nostro centro culturale LAC desidera proprio fare da ponte fra Nord e Sud. - Settant’anni fa Lugano e tutto il Ticino si distinsero per l’enorme slancio umanitario. La nostra popolazione viveva quegli anni con la consapevolezza di essere “scampata” agli orrori della guerra e si sentiva moralmente in dovere di accogliere le persone in fuga. Nel solo Ticino, giunse dal 1943 al 1945 una fiumana di profughi fino a raggiungere il numero di 45’000: un’enormità se si pensa che oggi l’intero Ticino conta 350’000 abitanti. Moltissime persone hanno fornito ogni genere di aiuto, spesso sfidando la legge. La generosità era generale e mescolata spesso con l’attivismo politico. In ciò ha avuto un ruolo di primo piano la carismatica figura del consigliere di Stato ticinese socialista Guglielmo Canevascini. Egli è stato promotore di innumerevoli azioni di solidarietà a favore dei rifugiati e di aiuto alla Resistenza oltreconfine3. In qualità di Consigliere di Stato si impegnò intensamente in difesa dei numerosissimi esuli e profughi, anche mettendosi in contrasto alle disposizioni delle autorità militari federali. È significativo l’appello rivolto al Consiglio federale dal Consiglio di Stato ticinese nel 1943 a fronte dell’emergenza umanitaria, per ottenere l’allentamento della chiusura delle frontiere, che riporto testualmente: “Il Ticino non può rinnegare i sentimenti di profonda amicizia che lo legano al popolo italiano, né può dimenticare le pagine gloriose scritte nel secolo scorso in favore di quelli oscuri e illustri profughi che crearono l’Italia del Risorgimento. Fra i profughi attuali forse si trovano le persone che domani saranno a capo del popolo italiano e che non dimenticheranno l’aiuto trovato da noi in ore tragiche: ma anche se ciò non fosse, un senso incomprimibile di fratellanza vuole che i profughi tutti siano trattati con quel senso specificatamente elvetico ispirato alla generosità” 4. Uno spirito che sembra andato perso nella politica odierna.
- I tempi sono fortunatamente cambiati e oggi in Europa viviamo in pace. Oggi giungono da noi molte persone che fuggono dalla miseria e da conflitti lontani, ma non meno atroci. E spesso restiamo insensibili. La Liberazione ci fa ricordare che la storia non deve ripetersi e che nel nostro piccolo dobbiamo dare anche a queste persone solidarietà e aiuto umanitario, come Lugano lo seppe fare durante la 2. guerra mondiale.
Cristina Zanini Barzaghi, Municipale di Lugano, 25 aprile 2019
1 Nelly Valsangiacomo “Le regioni di frontiera del Cantone Ticino durante la 2. guerra mondiale hanno assunto il ruolo di “zona franca”: di appoggio per antifascisti e alleati, di passaggio dei rifugiati e aree di resistenza. La frontiera certo era un ostacolo ma anche un luogo di attrazione e incontro” pg. 44 “Separazioni e contatti. Una lettura storica di confini e frontiere alpini” di Nelly Valsangiacomo, da “Vivere e capire le frontiere in Svizzera”, Coscienza svizzera 2014
2 Alberto Vigevani “I compagni di settembre“
3 “Nessuno potrà mai eguagliare quello che ha fatto il partito socialista ticinese nel suo slancio generoso, nell’apporto concreto, nella solidarietà fraterna espressa a tutti i rifugiati, specialmente quelli politici e ebrei” pg. 79 “Guglielmo Canevascini, autobiografia“ Fondazione Pellegrini-Canevascini 1986
4 pg. 109 Verbale Consiglio di Stato Cantone Ticino riunione 25 settembre 1943 menzionato da Renata Broggini in “La fiumana“ “Il Ticino e la guerra“ quaderno 64 Associazione Cattaneo 2009