Discorso per la cerimonia di consegna dei Master del dipartimento BAUG – Politecnico Federale di Zurigo, Hönggerberg – 11 novembre 2017
Apparso il 7.12.2017 sulla rivista Archi, tradotto dall’originale in tedesco
In equilibrio
Care e cari diplomati, care colleghe e colleghi, gentili signore e signori
Buonasera a tutte e a tutti!
Innanzitutto mi congratulo con voi di cuore.
Avete studiato con grande impegno per giungere oggi al traguardo del Master.
Oggi è per voi uno dei giorni più importanti della vostra vita, come lo è stato per me esattamente 30 anni fa.
Sono lieta di festeggiare con voi e sono onorata di poter tenere questo discorso.
Sono una donna professionalmente attiva come molte altre. Sono cresciuta, abito e lavoro in Ticino. Il mio percorso è atipico: ho lavorato in più ambiti contemporaneamente (Multitasking) e ho acquisito esperienze diverse che mi hanno portato sempre più verso la politica. Da 4 anni sono municipale a Lugano, dove sono responsabile del Dicastero immobili.
Il diploma al Politecnico è stato per me un ottimo inizio. E così lo sarà anche per voi: il futuro è nelle vostre mani e dovrete affrontare molte sfide. Vi auguro di riuscire a mantenere tutto “in equilibrio”, come ho fatto io. Proprio di questo vi voglio raccontare.
1. Equilibrio e ingegneria strutturale (Ingenieurbaukunst)
Il primo racconto tocca la mia prima predilezione: la progettazione strutturale.
Ho sempre trovato affascinante il “segreto delle forze interne nei corpi in quiete” .
Al Politecnico ho scelto come specializzazione “strutture e ponti” e nel lavoro ho praticato molto in questo settore con grande piacere.
In statica l’equilibrio è un concetto basilare: la somma delle forze e dei momenti deve sempre essere uguale a 0. Questo vale sia con il calcolo manuale sia con l’ausilio di strumenti informatici. La progettazione strutturale classica è cambiata radicalmente negli ultimi decenni. Un tempo il calcolo e il disegno erano l’essenza del nostro lavoro. Oggi non è più così: riusciamo a svolgere complesse analisi strutturali con programmi informatici, spesso senza nemmeno conoscere le teorie di calcolo che li fanno funzionare. La fatica dei calcoli statici è praticamente scomparsa. Ma nel nostro lavoro deve comunque restare il senso pratico e l’autocritica: la realtà non corrisponde mai al modello scelto e gli errori grossolani sono sempre dietro l’angolo, anche con l’impiego del computer. Ancora oggi è indispensabile saper controllare con metodi semplificati la plausibilità dei risultati, spesso dedotti da complessi output. Perciò è necessario un giusto equilibrio fra impiego del computer e calcolo manuale. È quindi ancora necessaria una solida formazione scientifica, difficile da recuperare dopo il conseguimento del Master. La rinascita negli scorsi decenni della statica grafica attraverso la teoria dei campi di tensione mi lascia ben sperare: anche in futuro nella formazione deve restare spazio sufficiente per questi metodi di calcolo.
Care e cari diplomati, inizierete presto un’attività professionale e constaterete subito che la formazione non è affatto terminata! Il Master è un traguardo importante ma è anche vero che la formazione continua è una necessità: non si finisce mai di imparare. Anche nella mia specializzazione, ho imparato moltissimo dopo gli studi da autodidatta. Con il tempo ho compreso che le strutture più belle non sono solo espressione dell’applicazione corretta della meccanica e della scienza dei materiali, ma soprattutto sono un equilibrio armonico fra “estetica, efficienza statica, economicità e solidità”, ciò che gli esperti definiscono “l’arte del costruire” (Ingenieurbaukunst). Durante tutti gli studi abbiamo avuto pochissimi contatti con i corsi di architettura: solo il prof. Menn ci ha parlato alcune volte della “Ingenieurbaukunst”. Ho finito gli studi con pochissime nozioni sulle tecniche costruttive del passato e sui personaggi che hanno fatto la storia dell’ingegneria. Ho recuperato questa lacuna leggendo molto, con la formazione continua, con la preparazione del mio corso di strutture alla SUPSI e soprattutto facendo concorsi di progettazione e cercando ispirazione da costruzioni già realizzate.
Nel 2006 ho vinto il concorso d’architettura e ingegneria per la nuova centrale d’esercizio FFS a Pollegio, che marca in modo imponente l’uscita sud della galleria di base del San Gottardo. Questo edificio sculturale mostra bene che l’ingegneria e l’architettura non sono disgiunte ma sono parte di un’unica cultura. Noi facciamo un’attività culturale, né più né meno degli scrittori, dei musicisti e degli artisti pittori e scultori.
2. Cultura della costruzione fra tecnica e natura
Arrivo quindi al secondo racconto sull’equilibrio: l’equilibrio fra tecnica e natura che a mio parere è la definizione più esatta per il termine di “cultura del costruire” (Baukultur).
Le costruzioni sono opere d’arte in equilibrio con il paesaggio circostante: è una constatazione essenziale che dobbiamo sempre tenere in considerazione. Tutte le costruzioni – non solo ponti e edifici ma anche strade, ferrovie, sistemazioni idrauliche, gallerie e dighe – influenzano il paesaggio e anche la nostra vita quotidiana. Perciò tutte e tutti noi abbiamo una grande responsabilità, che è in diretta relazione con la sostenibilità.
Ognuna e ognuno di voi ha scelto una specializzazione durante gli studi. È giusto seguire le proprie inclinazioni, ma bisogna essere capaci anche di guardare oltre la propria specialità. Infatti i progetti più visionari e innovativi sono creati dal dialogo proficuo fra diversi esperti: non solo del ramo tecnico, ma anche da altri ambiti come sociologia, storia, economia e politica.
Fra numerosi esempi, ne ho scelti due che trovo particolarmente rilevanti per l’impatto positivo avuto nel paesaggio e anche nel quotidiano delle persone.
Il tracciato di Alptransit in Ticino
– Il tracciato di Alptransit in Ticino è stato sviluppato da un gruppo interdisciplinare di esperti scelto dal Consiglio di Stato nel 1993. Il cosiddetto “gruppo di riflessione” era composto da un architetto, un pianificatore, due ingegneri civili, uno storico e un economista, e per la sua presidenza è stato designato l’architetto Aurelio Galfetti. Il tracciato elaborato è stato poi ripreso con lungimiranza dal Consiglio federale. E in seguito Alptransit AG ha incaricato uno gruppo di accompagnamento architettonico, che ha collaborato con gli ingegneri progettisti fino alla fine dei cantieri. Dallo scorso anno potete apprezzare non solo il guadagno cospicuo di tempo di viaggio da Nord a Sud delle Alpi, ma anche l’inserimento paesaggistico accurato di questa opera titanica.
Rinaturazione della foce del Cassarate a Lugano
– La riqualifica idraulica della foce del Cassarate è un progetto coraggioso scelto dalla città di Lugano con un concorso interdisciplinare d’ingegneria e paesaggismo, il quale prevede l’eliminazione dei muri di arginatura e la creazione di una nuova riva verde con una sinuosa passerella in legno di castagno. Il progetto è stato criticato virulentemente dalla politica locale e ha dovuto superare un referendum. In voto popolare, la cittadinanza ha deciso nel 2011 a favore con meno di 100 voti di scarto. Oggi è divenuto uno dei luoghi-cartolina più amati di Lugano sia dai residenti sia dai turisti.
I due esempi mostrano che non è l’estetica degli edifici ma piuttosto la conformazione degli spazi urbani ad avere maggiore influenza sulla nostra quotidianità: era già stato detto cento anni fa da Le Corbusier. Perciò come ingegneri abbiamo il dovere di dedicare molta attenzione alla sostenibilità delle grandi e piccole infrastrutture. La pianificazione del territorio e delle infrastrutture come pure l’impatto ambientale sono divenuti più importanti dell’ingegneria civile classica. Di questo me ne accorgo sempre più, specialmente da quando sono in politica.
3. Pensiero tecnico e politico
Come terzo racconto arrivo ora all’equilibrio politico e devo citare ancora Le Corbusier: „Dobbiamo sempre ricordare, che il futuro delle città viene deciso in Municipio„ .
Abbiamo bisogno di più persone in politica con formazione tecnica.
Voi, come me, avete imparato il “pensiero tecnico” (Ingenieurdenkweise), che influenzerà la vostra vita. Constaterete presto che il nostro modo di pensare si discosta parecchio dalla politica:
• Innanzitutto pensiamo in modo analitico e lavoriamo velocemente e indirizzati all’obiettivo. In politica invece, sono molto frequenti tempi lunghi e cambiamenti di rotta.
• E poi lavoriamo su grandi progetti intensamente e resistiamo anche alle sfide più complesse: i cantieri con lunghi tempi di realizzazione non ci fanno paura. Non abbiamo la barriera psicologica della durata della legislatura e delle scadenze elettorali che invece condizionano molto l’attività politica.
• Da ultimo penso che la nostra capacità di trovare soluzioni concrete con senso pratico si scontra pesantemente con le “sensazioni di pancia”, che in politica a volte si sostituiscono all’analisi oggettiva dei fatti.
Trent’anni fa non avrei mai immaginato, che il mio diploma d’ingegneria mi avrebbe anche permesso di accedere alla politica. Ogni giorno mi rendo conto di quanto posso imparare anche in questo ambito. Ho già constatato che avviare nuovi progetti in politica è molto più impegnativo del progettare complesse strutture. Non bisogna lasciarsi scoraggiare e continuare a trovare la motivazione attraverso un giusto equilibrio fra razionalità e emozione: creare consenso e accettare compromessi fanno naturalmente parte del gioco. Cerco di farlo al meglio grazie al metodo di lavoro tecnico: ascoltare e focalizzare i problemi, analizzare dati e trovare soluzioni concrete, elaborare visioni a lungo termine. In più si deve gestire la comunicazione: in questo ambito noi ingegneri dobbiamo migliorare parecchio.
Come vedete non è semplice. Ma dobbiamo impegnarci di più in politica, altrimenti le decisioni importanti che ci concernono verranno prese da persone che non hanno competenze tecniche. E se lo farete, dovrete anche prendere in considerazione, che la popolarità non dipende dalla lungimiranza e dal coraggio delle vostre proposte, che in genere sono sottovalutate nell’opinione pubblica. Così è stato ad esempio per il più grande politico ticinese, Stefano Franscini, che non ha avuto grandi apprezzamenti in vita. Era maestro e statistico autodidatta che credeva nella formazione ad ogni livello: nei pochi anni in cui è stato consigliere federale ha deciso la fondazione del Politecnico e dell’ufficio federale di Statistica. Solo dopo la sua morte, gli è stata data la giusta riconoscenza e perciò sono molto lieta che la città di Zurigo abbia pensato a lui per il nome della nuova piazza a Hönggerberg davanti all’edificio dove avete studiato. Franscini era consapevole dell’importanza della formazione tecnica e scientifica per il progresso sociale ed economico del nostro paese. Ancora oggi questo aspetto viene frequentemente ricordato dal presidente del Politecnico Prof. Guzzella.
4. Scienze tecniche e umanistiche
Vi ho parlato fin qui di strutture, paesaggio e politica, ma c’è molto altro da raccontare sull’equilibrio. Per avere successo nella vita non basta una solida formazione tecnica e per questo – molto saggiamente – il Politecnico prevede da sempre l’obbligo di frequentare anche lezioni del dipartimento di scienze sociali e umanistiche.
Durante i miei studi ho scelto di frequentare i corsi della cattedra di letteratura italiana De Sanctis. Questa Cattedra esiste dalla fondazione del Politecnico e ha resistito alla proposta di eliminazione fatta qualche anno fa. La politica federale e il Politecnico hanno fortunatamente riconosciuto l’equilibrio multiculturale della Svizzera, che contribuisce al successo del nostro paese. Non dimenticatelo: conoscere molte lingue è una ricchezza che non dobbiamo perdere, nonostante la forte avanzata dell’inglese che sta avvenendo in ambito accademico e professionale.
Ai tempi di Stefano Franscini, il primo professore di letteratura italiana era Francesco de Sanctis, famoso per incoraggiare gli studenti a sviluppare anche le proprie conoscenze umanistiche. Nell’atrio dell’Auditorio massimo, sulla lapide a lui dedicata si legge la sua celebre frase „Prima di essere ingegneri voi siete uomini”…siete uomini e donne.
5. Pari opportunità fra donna e uomo
Il nostro settore professionale ha bisogno di più donne. Una maggiore presenza femminile nel settore tecnico non solo migliora l’ambiente di lavoro ma contribuisce ad aumentare la creatività e l’efficienza, e aiuta ad attenuare l’acuta mancanza di personale che perdura da decenni. Anche le pari opportunità sono una storia di equilibrio.
Nella storia del politecnico le donne hanno fatto da comparsa per moltissimo tempo. Negli anni Ottanta eravamo ancora considerate come presenza esotica. La prima professoressa nominata nel 1985 è stata l’architetta ticinese Flora Ruchat. Allora le studentesse di architettura erano già ca. il 40% , mentre nel nostro dipartimento ca. l’1-2%. Solo nel 1997 è stata nominata come prima professoressa in ingegneria civile l’attuale rettrice del Politecnico Sarah Springmann.
Nonostante ciò, non ho avuto grandi problemi come donna, sia durante gli studi, sia in ufficio e sui cantieri. Per me diventare ingegnera è stata una scelta naturale: ero molto portata per la matematica e le scienze e i miei genitori non si sono opposti alla mia scelta. Da bambina volevo diventare scienziata come Marie Curie, ho poi scelto ingegneria con una certa audacia, senza avere mai conosciuto un’ingegnera. Ancora oggi mancano modelli di riferimento per le bambine e le ragazze. Perciò mi impegno da sempre nell’organizzazione di attività di promozione delle professioni scientifiche e tecniche e mi metto a disposizione più volte all’anno per manifestazioni di diverso tipo. Fortunatamente la situazione sta migliorando e oggi ci sono diverse professoresse che, oltre che a insegnare e fare ricerca, motivano le ragazze ad intraprendere una carriera tecnica.
Care diplomate e cari diplomati, sarete senz’altro dei professionisti appassionati e responsabili, e avrete un importante ruolo nella società. Sarete quindi tutte e tutti modelli di riferimento, indipendentemente dal genere e dalla provenienza. Le nostre professioni sono belle e interessanti: dobbiamo farle conoscere meglio con un linguaggio semplice e anche in modo divertente. Con i miei figli ho fatto diverse esperienze in merito.
6. Conciliabilità fra famiglia e lavoro
Giungo quindi all’equilibrio che ha influenzato maggiormente la mia carriera professionale: la conciliabilità fra famiglia e lavoro. Se guardo il mio curriculum, vedo che avrei potuto fare di più e meglio. Ad esempio, non ho approfittato dei miei ottimi risultati al diploma per fare un dottorato. Allora il desiderio di formare una famiglia era predominante rispetto alla possibilità di intraprendere una carriera accademica. Ma ho una felice esperienza come mamma e moglie. Mio marito mi ha sempre sostenuto e ho praticato il mio lavoro con creatività, specialmente quando i miei figli erano piccoli. Ho lavorato come impiegata e freelance, ho fondato uno studio d’ingegneria e ho insegnato a tempo parziale alla SUPSI.
La rivoluzione dei mezzi di comunicazione ha senz’altro aiutato: il cellulare, la posta elettronica e il computer portatile trent’anni fa non esistevano ancora. Utilizzo tutti questi mezzi regolamente ma in modo prudente. Con gli anni ho imparato che il multitasking va gestito con disciplina, per poter mantenere un giusto equilibrio fra vita famigliare, lavoro e politica. I tempi attuali, dominati dai socialmedia, fondono la vita privata con quella lavorativa, creando interdipendenze di vario tipo. Se ora ad esempio condividiamo qualcosa su Twitter con hashtag #masterfeierbaug e @eth potremo osservare rapidamente gli effetti, che possono essere anche inaspettati e non solo positivi.
Perciò pensateci sempre: anche il comportamento e l’etica saranno sempre più nella vostra agenda!
7. In equilibrio
Questo lungo discorso dimostra che l’equilibrio può essere fisico e anche figurato.
Oggi ricevete il vostro Master: avete così la possibilità di plasmare il vostro avvenire per ottenere felicità e successo in diversi campi.
Ognuna e ognuno di voi troverà un equilibrio unico e personale nella vita, come è avvenuto per me.
Care colleghe e colleghi, vi auguro un futuro radioso.