il mio discorso tenuto a Rovio.

Sono molto felice di essere stata invitata in occasione della festa nazionale e ringrazio di cuore il Municipio di Rovio.
La Svizzera è fatta da chi la abita, da svizzeri ma anche da persone di altra nazionalità.
Sono stata oggi a mezzogiorno a Chiasso – Boffalora al 1. agosto senza frontiere, dove ho apprezzato il clima di festa.
Chiasso, dove ho vissuto la mia prima infanzia, Novazzano, dove sono cresciuta, Lugano, dove ora vivo e siedo in Municipio, come Rovio sono tutti comuni di frontiera.
E tutti questi luoghi come grande parte del Ticino hanno legami con l’Italia.
Rovio lo sa bene: le sue famiglie patrizie, i Conza, i Carloni, i Mazzetti, i Manni, si sono insediate qui nel ‘500 provenienti dalla vicina Valle d’Intelvi e dal Milanese in fuga dalla peste. I loro discendenti si sono distinti come artigiani e costruttori e sono poi emigrati in diverse città italiane. Tornati qui al loro paese natale ci hanno lasciato opere pregevoli di alto valore culturale come l’altare in scagliola intarsiata e i quadri della bella chiesa di S. Agata e le case signorili del nucleo.
Il paese offriva poco e l’emigrazione è continuata nei secoli. Fino a pochi decenni fa i bòcia da Röv, come mi ha raccontato il caro sciur maestro Angelo Frigerio, se ne andavano a lavorare a Torino o a Zurigo. E come loro, molti altri ticinesi partivano per la Francia, l’Italia, l’Inghilterra, l’Australia, la California o l’Argentina. Se ne andavano da un Ticino povero in cerca di fortuna e trovavano città e nazioni da costruire, certo, ma anche l’incontro con le popolazioni locali. Ma non solo, come ticinesi emigriamo ancora, specialmente all’interno della nostra Svizzera.

Il primo d’agosto è la festa nazionale ed è la festa della nostra identità svizzera, non solo fatta di stereotipi come gli orologi, le banche o la cioccolata, ma anche fatta di multiculturalità, libertà e di democrazia.
La nostra identità è stata plasmata dalla Storia:
– la storia della nostra Confederazione che con la costruzione della ferrovia e delle autostrade ha collegato il nostro cantone al resto della Svizzera.
– la storia della nostra Confederazione di donne e uomini in movimento, che andavano oltre confine, oltre Gottardo e oltre oceano.
– la storia della nostra Confederazione che dopo la seconda guerra mondiale ha vissuto il boom economico e ha visto tanti cittadini di altre nazioni arrivare qui: tanti italiani e tedeschi, ma anche turchi, slavi, africani, spagnoli, siriani e altri ancora. Tante persone, donne e uomini, che lavorano e che vogliono integrarsi, tante persone che contribuiscono al nostro benessere e che chiedono dalla Svizzera umanità.

La Svizzera è fatta da chi la abita, e abbiamo un’identità comune, qualunque sia la nostra provenienza. E vorrei che la politica sappia dire chiaramente almeno tre cose.

dire chiaramente
1. Che i bambini che nascono e crescono da noi devono essere svizzeri, senza essere classificati come cittadini di serie B. Io sono una di questi bambini. Sono nata e cresciuta qui, ma ho dovuto aspettare 10 anni per avere il passaporto svizzero, perché sono figlia di mamma svizzera e papà italiano. Ma mi sento svizzera e ticinese come voi perché l’identità e la cultura non le si scrivono solo su un pezzo di carta.

dire chiaramente
2. Che nelle nostre scuole la civica deve essere insegnata, ma non la civica dell’esclusione e dell’emarginazione. Dobbiamo insegnare il rispetto e la solidarietà, l’accoglienza e anche la conoscenza delle nostre istituzioni. Dobbiamo insegnare lo spirito svizzero di convivenza fra culture differenti, di libertà e democrazia, di aiuto verso il prossimo, che ci contraddistinguono nel mondo. Ai nostri ragazzi dobbiamo insegnare questa storia della Svizzera, e anche quella dei ticinesi emigranti e quella del miracolo economico fatto sull’immigrazione.

E da ultimo dire chiaramente
3. Che la politica dei facili simboli non basta: che si deve sì parlare dell’inno nazionale o della bandiera obbligatori, ma anche di cultura reale. Si parla spesso di problemi creati dagli stranieri e dai frontalieri (certo ce ne sono), ma si parla purtroppo molto meno di valorizzare le nostre tradizioni popolari, il nostro patrimonio artistico e il nostro paesaggio fatto di monti e laghi, così caratteristico e ammirato da chi viene da altrove. Anche questo è cultura elvetica. E qui in questo magnifico villaggio, dove ha vissuto il compianto architetto Tita Carloni, mi chiedo se è vero sostegno alla cultura elvetica lasciar abbattere un patrimonio artistico come la Romantica di Melide.

Ma il 1° d’agosto non è solo un momento di riflessione, il 1. Agosto è specialmente un momento di festa: festeggiare la Svizzera oggi significa riflettere su quello che siamo stati e quello che stiamo diventando e significa saper condividere il nostro benessere, in modo aperto verso il mondo!
E quindi, nella solidarietà fra svizzeri e non svizzeri, fra ticinesi e non ticinesi, auguro un buon 1° d’agosto a tutte e tutti voi!