Intervista di Giacomo Agosta uscita su La Regione del 12 aprile 2022 (per l’articolo completo vedi il pdf in fondo alla pagina).

Che anno è stato per la politica luganese? 
Pieno di cambiamenti e imprevisti, considerando anche che rispetto a un anno fa ci sono tre nuovi municipali. I fatti dell’ex Macello a fine maggio hanno avuto un grande impatto e strascichi durante tutta l’estate. C’è poi stato il tragico decesso di Marco Borradori e la sua sostituzione. Nei primi mesi si è dovuto cercare un nuovo equilibrio nell’esecutivo, con i nuovi municipali che dovevano prendere confidenza con tanti dossier. È stato però anche un anno di risultati, con la presentazione del Piano direttore comunale e la conferma in votazione popolare del Polo sportivo e degli eventi.

Come valuta l’operato del Municipio sui fatti dell’ex Macello?
Dopo aver letto il decreto d’abbandono del procuratore generale mi restano molti punti di domanda. Quello che mi lascia perplessa è la modalità di comunicazione fra chi decide e chi opera sul terreno. Dobbiamo trovare il modo prima o poi di fare un’analisi interna al Municipio su come gestire queste situazioni di crisi, perché non è possibile che avvengano fatti importanti senza che se ne discuta prima a fondo. La faccenda è stata in ogni caso frutto di un’escalation, passo dopo passo, non so fino a che punto voluta.

È a favore di una votazione sul tema dell’autogestione?
No. Mi sembra solo un modo per dividere inutilmente la Città. Non penso che per avere una buona convivenza fra diverse categorie di cittadini si debba arrivare a votazioni di questo tipo. Le altre città svizzere ci dimostrano che per migliorare lo standard di vita e l’umore dei cittadini non basta solo la qualità dei servizi e degli investimenti. Ci vuole un lavoro partecipativo, di ascolto reciproco. Quando si dice “siamo a disposizione di tutta la popolazione”, lo deve essere davvero. Dal primo all’ultimo. Ed è chiaro che bisogna trovare il modo di comunicare con tutti: qui sta forse la difficoltà con la realtà dell’autogestione. L’ultimo tentativo fatto alla fine dello scorso anno, in seguito alla parziale rioccupazione, non è andato a buon fine.

Il Piano direttore comunale vuole dare a Lugano una nuova visione per il futuro, quanto si riuscirà a concretizzare delle idee messe sul piatto?
Come per tutti i grandi progetti, i tempi sono lunghi. Direi anche troppo, però fa parte della democrazia avere una certa lentezza. ll mio timore è che la discussione sulla nuova visione del territorio non riesca a svilupparsi in modo costruttivo e che si caschi anche qui in una divisione ideologica su temi controversi, come ad esempio sulla mobilità pubblica e privata . Trovo che sia ottimo il concetto delle costellazioni che suddivide la città in parti simili: ci aiuterà a superare il campanilismo molto presente negli ex comuni e a creare un nuovo senso d’identità comunitario cittadino. Ci sono poi molte cose che condivido, soprattutto sul verde, l’economia circolare e la rete di trasporti pubblici.

Progetti e visioni che avranno sicuramente dei costi. Lugano è pronta a investire nonostante questo periodo d’incertezza finanziaria?
Penso che il piano direttore possa permettere al Municipio di passare da una visione incentrata sulle finanze ad una visione territoriale da realizzare trovando i mezzi necessari. In questi nove anni, abbiamo fatto politica partendo prioritariamente dal piano finanziario e degli investimenti: sul lungo periodo è però limitante. Rispetto al resto del Cantone, Lugano è sempre stata una città finanziamente forte e la nostra popolazione si aspetta sempre che a fare tutto sia la città. Questo deve cambiare per i progetti di interesse regionale o cantonale. La città non ha capacità infinite.

Quanto dovrebbe investire quindi Lugano ogni anno?
Oggi non ci si vuole spingere oltre il limite di 60 milioni annui. Secondo un’analisi del nostro patrimonio immobiliare se ne dovrebbero investire circa 70. Il fabbisogno aumenterebbe di qualche milione all’anno e considerato che abbiamo una cifra d’affari di oltre 400 milioni all’anno, risulta fattibile. Gli investimenti devono essere oculati, ma sempre tenere il freno a mano tirato è un errore. Mi sento coinvolta sul tema, perché seguo da nove anni l’edilizia pubblica con grandi opere in cantiere. E anche progetti più piccoli come la Foce del Cassarate, la Masseria di Trevano o la cooperativa di via Lambertenghi sono importanti.

A proposito di progetti. Recentemente la Città ha lanciato un progetto, denominato ‘Lugano’s plan B’, che mira a trasformare Lugano nella capitale europea della cryptovalute. È un mercato sul quale ci sono solo opportunità o anche dei rischi?
Mi pongo sempre delle domande sulla bontà delle trasformazioni offerte dal digitale, specialmente laddove promettono soldi in poco tempo. Dovremmo collaborare di più con le nostre due scuole universitarie SUPSI e USI per accompagnare lo sviluppo di questo nuovo settore, verificando che tutto avvenga in modo corretto. Sono a favore dello sviluppo di un’economia più diversificata e non solo legata alla finanza: magari meno lucrativa, ma che crea valore aggiunto per l’ambiente e per l’offerta di posti di lavoro. È giusto che si discuta pubblicamente anche di vantaggi e svantaggi delle cryptovalute. Mi sembra che per il momento non si stia incentivando abbastanza questa discussione.

Tornando al Piano direttore comunale, quali sono gli aspetti che sarà più difficile applicare?
La difficoltà maggiore sarà trovare il modo di influenzare le attività edificatorie. La città ha poche proprietà immobiliari e non ha una politica fondiaria incisiva come le altre città svizzere. La proprietà immobiliare a Lugano è soprattutto in mano a privati, spesso banche, assicurazioni e casse pensioni. Sarà importante coinvolgerli come previsto dal Piano direttore. A questo si aggiunge il problema dei tassi d’interesse negativi, che portano a investimenti non sempre sensati. Si abbattono vecchie case per costruire edifici nuovi, al posto di risanare – laddove possibile – in modo intelligente. Gli effetti sono perversi e le resistenze della popolazione sono comprensibili. Non tutti gli investitori agiscono allo stesso modo e vi sono anche esempi di buona edilizia. Il Piano direttore dovrà migliorare la collaborazione fra pubblico e privato tenendo in considerazione i reciproci interessi.

Quali possono essere delle azioni concrete nell’ambito immobiliare?
Sarebbe necessario un blocco edilizio parziale per nuovi edifici e permettere di principio solo ristrutturazioni, ampliamenti e sopraelevazioni. Non bisogna fermare il settore ma indirizzare la costruzione. Centinaia di appartamenti anni ’60 e ’70 oggi sfitti vanno ammodernati e possono essere trasformati anche per altri scopi. Per fare ciò dovremmo introdurre regole semplici e proporzionate al caso. Se voglio convertire un appartamento in ufficio o viceversa, dovrei poterlo fare con una procedura edilizia snella. In più andrebbe rivisto il nostro regolamento sui posteggi privati, che attualmente obbliga a realizzarne tantissimi senza considerare la potenziale condivisione fra fruitori non concomitanti di alloggi, uffici, commerci ed eventi. Su questo e su altri temi legati alla mobilità e all’ambiente, temo che alcune misure proposte dal piano direttore verranno rallentate toccando interessi contrapposti e a volte inconciliabili.

Un altro tema che ha fatto recentemente discutere è quello di mandati a ditte esterne, ad esempio per alcuni servizi offerti al Lac.
Abbiamo esternalizzato diverse attività, ma non sempre si è trattato a mio avviso di operazioni positive. Quando ti affidi a ditte esterne, puoi perdere l’opportunità di dare lavoro a persone residenti. Alcune privatizzazioni portano ad un aumento della manodopera frontaliera e a una pressione verso il basso dei salari. Sono convinta che tante prestazioni possono essere gestite bene anche dall’ente pubblico, con costi contenuti e creando posti di lavoro sicuri. Si potrebbero sviluppare nuovi servizi. Un esempio: integrando i taxi nella mobilità pubblica della TPL avremmo il vantaggio di offrire un servizio flessibile e a prezzi accessibili, soprattutto laddove un potenziamento dei bus è difficile.